Critica
ON THE ROAD
“On The Road” Giangi torna ai miti delle prateria intorno agli anni 50 tra la “Beat Generation” americana da Kerouac a Ginsberg, che teorizzavano la fuga dalla città dal lavoro programmato, dalle regole e convenzioni di una società troppo organizzata e in qualche modo emarginante, il rifugio ideale diventava la strada e il viaggio attraverso gli immensi spazi dell'Ovest, lungo vie che parevano non avere mai fine, una sorta di catarsi spirituale, tra paesaggi lunari e profondi silenzi, incrinati solo dalla voce del vento.
Giangi ha vissuto questi luoghi e queste atmosfere, gli spazi e i silenzi gli sono rimasti dentro, fino ad esplodere in una pittura violenta e turbinosa che si esalta nella visione di immensi cieli profondi e deserti silenziosi connotati dall'assenza dell'uomo, le stazioni di servizio in rovina e le carcasse di automobili sono lo scenario tragico di ciò che rimane nella lotta feroce tra uomo e ambiente, nel momento in cui la civiltà dei consumi si arresta sul confine oltre il quale non esiste altro che la natura e le sue regole.
Giuseppe Castelli
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